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Le teorie post-ambientaliste hanno contribuito in maniera determinante a orientare una parte significativa del recente dibattito culturale intorno al nodo dell’ecologia. Gli scritti di Ted Nordhaus e Michael Shellenberger, attraverso una critica ai metodi, il linguaggio e le retoriche ambientaliste tradizionali, hanno tentato di definire i canoni di un nuovo pensiero ecologista svincolato da una percezione dell’umanità e della cultura come entità avulse dalla natura e dal suo sistema di relazioni(l). Al di là del merito specifico delle tesi di Nordhaus e Shellenberger, ancora in gran parte da verificare, la messa in discussione di alcuni dei maggiori assiomi del pensiero ambientalista, a partire dal principio della decrescita, ha concorso allo sviluppo di una rinnovata sensibilità ecologica a cui si legano, in chiave teorica, il recupero delle idee olistiche di Gregory Bateson, intorno al concetto di “ecologia della mente”(ll), e la scoperta (assai recente in area anglosassone) del pensiero ecosofico di Félix Guattari(lll).
In una prospettiva ecosofica, la crisi ecologica globale viene a definirsi come la manifestazione di una crisi generale, di natura cognitiva e sociale, prima ancora che ambientale. La questione ecologica pone un problema più ampio rispetto a quello puramente scientifico: come modificare la mentalità? Come reinventare delle pratiche cognitive e sociali che ridiano all’umanità il senso della responsabilità, non solo verso se stessa, ma anche riguardo al futuro della vita sulla Terra?
Dalla fine degli anni Ottanta, quando Guattari scrive, ad oggi l’appello dal mondo dell’arte a orientare il progresso delle scienze e delle tecniche verso finalità più umane - finalità ecologiche, nel triplice senso individuato - è cresciuto progressivamente in direzione non tanto di un ritorno alle antiche maniere di vivere, quanto piuttosto verso l’individuazione di nuove pratiche di sviluppo e di convivenza. In particolare negli ultimi anni, la consapevolezza del ruolo fondante dell’ecologia nel quadro delle scienze umane e sociali è aumentata notevolmente, così come la volontà di fare fronte alla passività fatalista degli individui e dei poteri riguardo alle questioni ecologiche. Il paradigma ecologico costituisce oggi, per un gruppo sempre più diffuso e consapevole di artisti, un fondamento etico sulla base del quale riconsiderare non soltanto il rapporto tra arte e scienza, ma più in generale l’insieme delle relazioni tra i piani estetico, sociale e cognitivo.
All’interno del sistema dell’arte, il dibattito critico si è sviluppato principalmente attorno al tema della “sostenibilità”. Il termine “sostenibilità”, notoriamente, trae la sua origine dalle scienze ambientali, indicando la capacità di un ecosistema di rigenerarsi. Nel tempo questa parola ha assunto un significato più ampio, con una valenza marcatamente sociale, andando a determinarsi, secondo la definizione ufficiale, come “la capacità dell’uomo di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle future generazioni di sopperire alle proprie necessità”(lV). Quale contributo può portare l’arte alla causa della sostenibilità? Questo quesito appare ancora oggi irrisolto, al pari di altre domande che, inevitabilmente, sopraggiungono nel momento in cui si pensa all’arte “sostenibile” come a una categoria critica. Lo storico del design Victor Margollin ne ha poste alcune(V). A patto che si possa parlare di una “estetica della sostenibilità” - come afferma Hildegard Kurt(Vl) - quali forme deve assumere un’arte che voglia dirsi sostenibile? Nel quadro di una cultura della sostenibilità, cosa distingue l’arte da altre discipline, come l’architettura, il design, la grafica?
Queste domande, che hanno segnato, almeno in parte, il dibattito critico sino ad oggi, costituiscono in realtà un ostacolo allo sviluppo di un pensiero davvero sostenibile. A sottolinearlo è lo stesso Margollin, insieme ad altri artisti, curatori e critici internazionali, tra i quali Rirkrit Tiravanija, Max Andrews, Stephanie Smith, Jeffrey Kastner. Soltanto attraverso una visione olistica del mondo, che includa dunque l’arte insieme agli altri elementi, e che allo stesso tempo guardi all’arte stessa come a un insieme di componenti non separate, si potranno progressivamente affermare una conoscenza ecologica - per tornare a Bateson - e una cultura sostenibile.
Dividere l’arte dalle altre discipline coinvolte nello sviluppo di una nuova cultura della sostenibilità è paradossale. Il rischio è quello di dare vita a una falsa gerarchia culturale. Soltanto abbattendo alcune delle vecchie categorie storico-critiche si potrà giungere alla creazione di un dialogo proficuo sull’estetica all’interno di una cultura della sostenibilità. In tal senso, è necessario che gli artisti abbraccino un’estetica comune che vada al di là della ricerca di forme unitarie e che miri a un’interazione possibile tra i diversi linguaggi e tra le diverse pratiche.
La prospettiva di “un’arte sostenibile” dovrà lasciare spazio alla diffusione di una più vasta cultura ecologica che si presenti, prima di tutto, come una svolta etico-estetica, portata avanti sul piano ambientale e parallelamente sul piano sociale e sul piano dei processi mentali. Un’arte determinata a fondare le proprie ragioni sulla base di una profonda conoscenza ecologica non si limiterà pertanto ad affrontare questioni esclusivamente ambientali, legate alla crisi dell’ecosistema, ma si caricherà di aspirazioni, prospettive e significati culturali più ampi. Nel quadro della produzione artistica contemporanea si stanno progressivamente delineando approcci, finalità e metodi operativi differenti. Alcuni artisti si stanno distinguendo per l’adozione di pratiche virtuose finalizzate alla riduzione degli impatti ambientali attraverso l’utilizzo di materiali naturali, deperibili o riciclati e di processi di realizzazione sostenibili. Parallelamente un numero sempre maggiore di fotografi, videoartisti e artisti multimediali sta orientando la propria ricerca verso la denuncia di comportamenti sociali dannosi per l’ecosistema. Generalmente queste opere non cercano di indicare una “giusta via” nella risoluzione del problema ambientale, ma si limitano a fornire sguardi e punti di vista alternativi sulla realtà contemporanea. Altri artisti si collocano piuttosto apertamente sul solco tracciato dalla land art, manifestando un’attenzione per le forme e i ritmi della natura, nel tentativo di introdurre un cambiamento conforme con la specificità della vita e col tempo che la regola. Ci sono lavori che sfruttano metodi d’inchiesta giornalistica, altri ancora che trattano temi ambientali pur portando avanti una ricerca di natura essenzialmente antropologica.
Molti artisti utilizzano pratiche programmatiche o relazionali, confrontandosi con la sfera pubblica e proponendo nuove strategie alternative di sviluppo per la società. Alcuni di questi portano avanti una vera e propria battaglia ecologica, coprendo contemporaneamente i terreni della pratica artistica e dell’attivismo politico. Ci sono lavori che dialogano apertamente con la scienza, immaginando percorsi futuribili di ricerca, altri ancora che spaziano tra l’architettura e il design sostenibile. E non vanno neanche dimenticati quei lavori che, pur non affrontando direttamente tematiche legate alla crisi ambientale - come il surriscaldamento del globo, l’inquinamento, il dissesto idro-geologico, il consumo del territorio e delle risorse primarie – si muovono in un’ottica di “ecologia mentale” – nella linea tracciata da Debord, Baudrillard, McLuhan, e, più di recente, in forma applicata, da Kalle Lasn(Vll) – mettendo in atto una concreta battaglia del “meme”, una guerriglia abusiva di informazioni volta a porsi come una falla all’interno del flusso autoritario, unilaterale e contaminante della pubblicità e della comunicazione in generale.
È importante sottolineare come le diverse attitudini descritte non costituiscano delle categorie rigide. Nella ricerca artistica contemporanea vige una sostanziale libertà programmatica e linguistica che svincola il lavoro di ricerca dall’utilizzo di stili o forme espressive unitarie. La vocazione sperimentale, a cui le opere degli artisti impegnati sul fronte di una conoscenza ecologica cercano di tenere fede, impone una costante ricerca di nuove modalità espressive e di comunicazione. Questa ricerca del “nuovo”, propria della tradizione modernista e neoavanguardista, dovrà necessariamente trasformarsi un una ricerca di “nuove possibilità”. Per farlo occorre una mentalità diversa, una eco-logica, per dirla ancora con Guattari, che prenda di mira, come obiettivo primario, i modi di produzione della soggettività umana - vale a dire di conoscenza, di cultura e di sensibilità - e che si adoperi alla ricostruzione dei rapporti, a tutti i livelli del sociale, svincolando in questo modo gli “ecologisti” dall’immagine di una piccola minoranza di amanti della natura o di specialisti accreditati e rilanciando l’ecologia come una delle principali scommesse politiche ed etiche della nostra epoca.
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(l) Le tesi di Nordhaus e Shellenberger derivano dalla constatazione del sostanziale fallimento politico dei movimenti ambientalisti americani, della loro incapacità di farsi promotori di soluzioni appetibili in risposta a problematiche di carattere globale. Cfr. T. Nordhaus, M. Shellenberger, The Death of Environmentalism: Global Warmig Politics in a Post-Environmental World, 2004. (www.thebreakthrough.org/images/Death_of_Environmentalism.pdf); T. Nordhaus, M. Shellenberger, Break Through: From the Death of Environmentalism to the Politics of Possibility, Houghton Mifflin, Boston, 2007.
(ll) Bateson chiama “ecologia della mente” il complesso sistema di relazioni che determina i processi di conoscenza e che lega le idee tra loro. Questo sistema è lo stesso che unisce l’uomo agli esseri viventi e gli esseri viventi alla natura. Per Bateson le idee stesse sono esseri viventi, soggette a una peculiare selezione naturale e a leggi che regolano e limitano il loro moltiplicarsi entro certe regioni della mente. Come tali, le idee, nascono e muoiono. La morte di un’dea è la conseguenza di una mancata armonia con le altre. Da qui la proposta di una “ecologia della mente” come scienza delle relazioni tra questioni apparentemente lontane, come «la simmetria bilaterale di un animale», scrive Bateson, «la disposizione strutturale delle foglie in una pianta, l’amplificazione successiva della corsa agli armamenti, le pratiche del corteggiamento, la natura del gioco, la grammatica di una frase, il mistero della evoluzione biologica e la crisi in cui oggi si trovano i rapporti fra uomo e ambiente». Cfr. G. Bateson, Steps to an Ecology of Mind: Collected Essays in Anthropology, Psychiatry, Evolution, and Epistemology, University of Chicago Press, Chicago, 1972 (ed. it. Adelphi, Milano, 1976); G. Bateson, Mind and Nature: A Necessary Unity, Hampton Press, Cresskill (NJ), 1979 (ed. it. Adelphi, Milano, 1986).
(lll) F. Guattari, Les trois écologies, Editions Galilée, Paris, 1989 (ed it. Torino 1991).
(lV) The World Commission on Environment and Development (WCED), 1987. Nel rapporto Brundtland (dal nome della coordinatrice di allora, Gro Harlem Brundtland) viene introdotto, per la prima volta, il concetto di “sviluppo sostenibile”. La definizione determina un principio etico generale, nel quale si contemplano due fondamentali principi ecologici: il mantenimento delle risorse e dell' equilibrio ambientale del nostro pianeta.
(V) V. Margolin, Reflections on Art and Sustainability, in Beyond Green. Toward a Sustainable Art, a cura di S. Smith, University of Chicago, iCi, Chicago, 2005.
(Vl) H. Kurt, Aesthetics of Sustainability, in Aesthetics of Ecology: Art in Environmental Design, Theory and Practice, Basel, Berlin, Boston 2004.
(Vll) Kalle Lasn è uno degli animatori del movimento di protesta degli anni Novanta. Creatore, nel 1989, della rivista “Adbusters”, nata dalla riflessione situazionista di critica della “società dello spettacolo”, è l’anima della Adbusters Media Foundation, associazione che allestisce campagne per rivendicare la libertà di comunicazione e combattere la manipolazione e l’eccesso dei consumi. Il suo concetto di “ecologia mentale”, da non confondere con “l’ecologia della mente” di Bateson, identifica l’azione dei sabotatori culturali contro l’imposizione di quello che chiama il “meme” della cultura da parte di agenzie pubblicitarie, grandi aziende e media commerciali. K. Lasn, Culture Jam, Quill, New York, 2000 (ed. it. Mondadori, Milano, 2004).
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