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Come tradurre le emozioni in linguaggio?
E’ quello che tentano di fare ormai da anni Antonella Anedda, Elisa
Biagini e Valerio Magrelli con stili e temi diversi ma che sempre hanno
al centro questa indagine. La poesia diventa un viaggio nell’esperienza
altrui che lentamente facciamo nostra, ritrovandoci proprio nella descrizione
di emozioni che anche noi abbiamo vissuto. La “buona” poesia
è infatti capace di fare proprio questo: trasportare le sensazioni
e le storie da un piccolo spazio “privato” ad una dimensione
universale, perché, come dice Anne Sexton, “my kitchen, your
kitchen//my face, your face”. Poesia non percepita come distante e
difficile dunque - come troppo spesso si continua a pensare -, ma vissuta
e letta come mezzo fondamentale per il “trasporto del carico emotivo”:
poesia a cui ci affidiamo proprio nei momenti a maggiore densità
emotiva della nostra vita.
Ecco dunque come i tre poeti qui presentati ci traghettino in questo “altrove”
inizialmente percepito come nuovo ed estraneo ma che, in breve ci si rivela
come incredibilmente familiare. Nella Anedda “la parola si spacca
come legno” ed è in quel suono che rivive l’emozione;
la Biagini e la sua mappatura del linguaggio dell’incomunicabilità
e del corpo, vicina in quest’ultimo tema a Magrelli, abitante-narratore
del “condominio di carne” (dal titolo di uno dei suoi più
fortunati libri).
Guardiamo il significato della parola “emozione”: una forma
di trasporto, un andarsene, passare da un luogo ad un altro. Capacità
dunque di creare uno spazio alternativo, forse nuovo: è quello che
fa la buona poesia, ci apre la porta delle cose che ci circondano per permetterci
di vederne il nocciolo pulsante, per osservare l’intrico delle vene.
Movimento dunque, non la staticità della cornice del libro: parole-api
che ronzano sulla pagina bianca di Emily, che scalpitano come i cavalli
della poesia della Plath (“words dry and riderless / the indefatigable
hoof-taps”). Il movimento è il passo che io faccio verso di
te, da scrittore a lettore e di nuovo a scrittore, seguendo il senso rotatorio
della memoria condivisa. La poesia diventa un viaggio nell’esperienza,
la mia pelle la tua mappa. Perché forse lo hai dimenticato, ma per
quella strada ci sei già passato, hai già visto quell’albero
e il suo ramo. Il poeta coraggioso fa quello che ha scritto Coetzee da qualche
parte: lancia una parola nel buio e ascolta il suono che questa rimanda.
Quel suono diventa la musica del suo testo, un´ eco densa come un
burro nero. Anedda, Biagini e Magrelli dunque e il loro tentare di tradurre
in linguaggio le emozioni. Anedda che si sporge nella notte dal “balcone
del corpo”, Biagini o della frustrazione del comunicare, una Sisifo
della parola-dialogo; Magrelli e la sua ansia che lo martella come ferro
e che ne cambia la forma, inevitabile come calamita. |