Il saggio è parte del catalogo “Francis Bacon e la condizione esistenziale nell’arte contemporenea”, a cura del CCC Strozzina, Fondazione Palazzo Strozzi ed edito dalla casa editrice Hatje Cantz (www.hatjecantz.de).
Martin Harrison
Immagini potenziali
Il materiale visivo bidimensionale recuperato dallo studio di Francis Bacon nel 1998 consisteva principalmente di fotografie o riproduzioni di fotografie tratte da libri, riviste e quotidiani. La chiara distinzione che oggi facciamo tra stampe fotografiche “originali” e immagini riprodotte era probabilmente meno significativa per Bacon. Le riproduzioni di lavori di Michelangelo, Rembrandt o Velázquez che accumulava, ad esempio, erano drasticamente ridotte in tono e scala rispetto agli originali: private della loro aura di soggetti unici e omogeneizzate come “immagini”, non erano distinte sostanzialmente dalla fotografia giornalistica. Bacon, in qualche misura, alludeva a questo quando affermava che Michelangelo (un artista) e Muybridge (un fotografo) erano “mescolati insieme nella mia mente” (Sylvester 1995, p. 114). Negli anni Quaranta fu ossessionato dal Ritratto di Papa Innocenzo X di Velázquez, di cui non aveva visto il dipinto originale ma “aveva comprato una fotografia dopo l’altra” (Sylvester 1995, p. 71). Inoltre, anche se dipinse la sua ultima variazione sul ritratto papale nel 1965, continuò ad acquistare libri su Velázquez, da cui ritagliava riproduzioni che devono essergli riecheggiate, ma che non possono essere messe direttamente in relazione ad alcuno dei dipinti che realizzò successivamente. Questo atavismo autoriflessivo suggerisce che certe fotografie, nel loro gioco di luce tremolante, di struttura grafica o di fissaggio di un gesto insolito, agivano come oggetti talismanici il cui influsso su di lui fece fatica a diminuire.
L’importanza delle “fonti” di Bacon continua a dividere i critici. Alcuni resistono risolutamente al potenziale del suo “archivio”, argomentando che lo studio di questo materiale, spesso frammentario, è marginale rispetto all’esplorazione dei significati più profondi incarnati nei dipinti1. Ma Bacon era un artista figurativo che non faceva disegni preliminari nel senso tradizionale: per lui, le “immagini basate sulla lente” non solo generavano idee per i dipinti, ma funzionavano anche come sostituto (o scorciatoia) per i disegni. La decodifica dei suoi misteriosi dipinti è problematica, e in effetti viene tentata raramente2. Eppure l’abbondanza di materiale visivo di consultazione che è stato rivelato a partire dal 1998 contiene indizi sul pensiero di Bacon che sarebbe irrazionale ignorare. I processi complessi attraverso cui assorbiva questi stimoli visivi e li integrava nelle idee per i dipinti sono, tuttavia, difficili da determinare. Bacon raramente era ispirato da un’unica immagine, e nell’intrigante Untitled (Marching Figures) (Senza titolo – Figure in marcia, 1950 circa), ad esempio, anche se sappiamo che i soldati in marcia si basavano su un’illustrazione tratta dal libro Sulla pittura moderna di Le Corbusier e Amédée Ozenfant, è finora sfuggito agli storici dell’arte un collegamento plausibile tra l’orso polare (è un orso? o una generica “belva feroce”?) che sta sopra il suo basamento appena schizzato e i soldati che vi marciano sotto.
Storiografia
Bacon non incoraggiava la ricerca sul rapporto tra specifiche fotografie e i suoi dipinti. Robert Melville, nel primo articolo importante su Bacon, scritto nel 1949, riconobbe la fusione del fotogramma dell’infermiera che grida nell’episodio della scalinata di Odessa nella Corazzata Potemkin di Eisenstein con il Ritratto di Papa Innocenzo X di Velázquez. Lo storico dell’arte americano Sam Hunter fotografò Bacon nel suo studio di Cromwell Place nel 1950, e due delle fotografie scattate alla raccolta di “fonti visive” corredavano l’articolo Francis Bacon: The Anatomy of Horror, che egli pubblicò su “Magazine of Art” nel gennaio 1952. Il fatto che Bacon conservasse copie di queste fotografie sostiene l’idea che egli subisse un fascino segreto da parte delle sue “influenze” pittoriche. Lawrence Alloway – la cui padronanza sull’immaginario visivo dei mass media e delle belle arti era rara tra i suoi colleghi – nel suo saggio che accompagnava una retrospettiva di Bacon al Solomon R. Guggenheim Museum di New York nel 1963 riprodusse una delle fotografie di Hunter e aggiunse dettagli di due lastre di Muybridge. Anche John Rothenstein e Ronald Alley inclusero una delle fotografie di Hunter nel loro catalogo ragionato Francis Bacon del 1964, insieme a una lastra di Muybridge, un fotogramma della Corazzata Potemkin e una fotografia che Bacon aveva scattato intorno al 1938 a sua cugina, Diana Watson.
John Russell dedicò l’intero capitolo “The Prehensile Image”, (L’immagine prensile) del suo libro Francis Bacon, all’uso che Bacon faceva delle fotografie, ma non fornì alcuna illustrazione per rafforzare la sua discussione. Russell sosteneva che Bacon aveva lavorato solo una volta partendo da fotografie o altro materiale pronto all’uso, e che non ci fu mai una corrispondenza biunivoca tra una fotografia e un dipinto: affermazioni fuorvianti, che probabilmente riflettevano l’influenza editoriale di Bacon. Eppure nel 1975 la prima edizione delle Interviews with Francis Bacon (Interviste a Francis Bacon) di David Sylvester includeva numerose “fonti fotografiche”; c’erano diverse sequenze di Muybridge, un fotogramma della Corazzata Potemkin, una lastra da Proiezioni radiografiche di K. C. Clark e un’altra da Stalking Big Game with a Camera in Equatorial Africa (Caccia grossa con la macchina fotografica in Africa equatoriale) di Marius Maxwell (1924), una fotografia di Clem Haagner di un leone nel Kalahari e quattro ritratti di amici di Bacon scattati da John Deakin. Alcune di queste fotografie devono essere state fornite da Bacon, o con il suo consenso, dato che recano scritte e tracce della sua manipolazione. Ad ogni modo egli deve aver riconsiderato la sua decisione di permettere la pubblicazione di questo tipo di materiale, dato che nel periodo successivo esso è praticamente assente dalla storiografia su Bacon fino a dopo la sua morte nel 1992. 3
La riluttanza di Bacon a permettere la divulgazione del suo repertorio di immagini deve essere collocata nel contesto della tardiva e forzata accettazione della fotografia in Gran Bretagna. I critici tendevano a evocare la connessione con la fotografia in un senso peggiorativo e a fraintendere le motivazioni dei pittori che l’avevano adottata, ignari, forse, dell’attività di Degas o Picasso. Lo storico dell’arte Norbert Lynton ha sostenuto che i dipinti nella prima retrospettiva di Bacon alla Tate Gallery nel 1962 “non riuscivano a fondersi in un’unità significante”, e dimostravano una “dipendenza straordinaria da immagini di seconda mano, addirittura da un’immaginazione di seconda mano”. Lynton contestava la legittimità degli effetti fotografici e cinematografici che Bacon aveva fatto propri, “la dissolvenza di un’immagine in un’altra, la distorsione dello spazio e dell’anatomia che accompagna la visione monofocale, lo squilibrio spaziale creato dalla doppia esposizione” (Lynton 1962).
L’impegno di Bacon con la fotografia scorre come un prolungato sottotesto all’interno di una delle più influenti dissertazioni sulla sua arte, la Logica della sensazione di Gilles Deleuze, 1981. Deleuze descriveva succintamente il dialogo di Bacon con le fotografie: “È sinceramente affascinato dalle fotografie (si circonda di fotografie; dipinge i suoi ritratti da fotografie del modello, mentre fa uso anche di fotografie completamente diverse; studia fotografie di dipinti passati; e ha una passione straordinaria per fotografie di se stesso)” (Deleuze 2003). Deleuze a proposito del mezzo evidenziò anche l’ambivalenza di Bacon (e la propria?) osservando che l’artista “non attribuisce alcun valore estetico alla fotografia” (Deleuze 2003). Ma sebbene Bacon affermasse che le usava solo come un dizionario o come promemoria, disse anche che era tormentato dalle fotografie e le trovava più interessanti dei dipinti. Mentre non bisogna sovrainterpretare le osservazioni improvvisate e spesso contraddittorie rivolte a chi lo intervistava, il suo rapporto tattile ed esteso con le fotografie e la sua attenzione da intenditore dei dettagli significanti (e spesso trascurati) al loro interno indica che attribuiva loro un valore più elevato di quanto si potrebbe ricavare dal testo di Deleuze, per quanto Deleuze avesse ragione a sostenere il primato dei dipinti e della “pittura come sensazione”.
Prologo
A Berlino, Parigi e Londra, alla fine degli anni Venti, Bacon assistette alla nascita del fotogiornalismo. Aveva familiarità con la rivista “Documents” fondata nel 1929 da Georges Bataille e Michel Leiris che combinava arte alta con etnografia e cultura popolare, e le riviste “Minotaure” e “Cahiers d’Art”, le cui tendenze surrealiste sintetizzavano irrazionalmente accostamenti di pittura e scultura antica e moderna con le fotografie e il cinema; collezionava anche “Crapouillot”, una rivista i cui redattori evidentemente condividevano la duplice fascinazione di Bacon per i crimini bizzarri e la politica. Così, mentre Bacon potrebbe essere stato ispirato a diventare pittore dall’esempio di Picasso, era allo stesso tempo attento alle manifestazioni alternative dell’avanguardia, e specialmente alla cultura fotografica modernista, che stavano ampliando i parametri del discorso artistico.
L’uso di Bacon delle immagini fotografiche negli anni precedenti al 1944 può solo essere congetturato, dato che nessuna delle sue conversazioni durante questo periodo fu registrata ed egli distrusse tutti i dipinti che aveva realizzato tra il 1937 e il 1943. In Three Studies for Figures at the Base of a Crucifixion (Tre studi per figure alla base di una crocifissione, 1944), comunque, la testa della Furia sul pannello sinistro era basata su una fotografia pubblicata nel libro del barone von Schrenck Notzing Materialisationsphänomene (Fenomeni della materializzazione, 1920); Bacon assorbì questa immagine in un complesso amalgama di citazioni da Picasso, Degas, Grünewald e fotografie mediche. In Figure in a Landscape (Figura su un paesaggio, 1945), la figura i cui tratti sono praticamente nascosti sotto l’ombrello era “basata su uno scatto di Eric Hall assopito su una sedia a sdraio a Hyde Park” (Rothenstein e Alley 1964, p. 36), il primo caso documentato dell’uso di una fotografia originale da parte di Bacon; recenti fotografie ai raggi X hanno rivelato che Bacon aveva dipinto una resa altamente realistica della testa di Hall.
Muybridge e il corpo umano
Bacon era a conoscenza delle fotografie seriali di umani e animali in movimento di Eadweard Muybridge prima di cominciare ad appropriarsi delle loro articolate posizioni delle membra per i suoi dipinti. Ma nel 1949 l’artista Denis Wirth-Miller gli fece conoscere il set completo delle lastre collotipiche di Muybridge al Victoria & Albert Museum, situato proprio di fronte allo studio di Bacon in Cromwell Place a Londra. Bacon le adottò immediatamente come proprio repertorio sui corpi in movimento, e sappiamo, dalle testimonianze presso la Dublin City Gallery The Hugh Lane, che egli continuò ad accumulare libri delle fotografie di Muybridge in numerose diverse edizioni. Queste fotografie rimasero la sua risorsa visiva più fertile per dipingere il corpo umano e i gesti a esso associati: arricchite dai disegni di Michelangelo e, dopo il 1963, dalle fotografie di George Dyer scattate da John Deakin, esse gli fornirono i modelli più importanti per la rappresentazione del nudo maschile. Le immagini analitiche e dal carattere quasi scientifico di Muybridge, sebbene fossero destinate principalmente ad artisti, non erano psicologicamente neutre, e per Bacon la loro intrinseca stranezza suggeriva molte nuove associazioni: paradossalmente, dunque, queste fotografie vittoriane fornirono uno stimolo cruciale per un artista figurativo della metà del XX secolo che aveva capito di non poter più riciclare formule stantie. Reperì altre fotografie del corpo umano in situazioni estreme, e immagini di atleti e soldati, fotografie mediche e scientifiche, scene di delitti e conflitti si unirono al suo catalogo di corpi sotto stress.
Scatti fuori posa
Portrait of Lucian Freud (Ritratto di Lucian Freud, 1951) fu il primo dei dipinti di Bacon in cui il soggetto era nominato. Ma la prima volta che Freud arrivò allo studio di Bacon per posare per il dipinto, notò che il ritratto era quasi finito. Altri che posarono per Bacon negli anni Cinquanta – David Sylvester, Cecil Beaton e Lisa Sainsbury – notarono che li dipingeva molto poco “dal vivo”, ammesso che lo facesse. Dal 1952 al 1963 Peter Lacy fu il soggetto ispiratore più importante per Bacon, anche se, a parte qualche criptica designazione come “P. L.”, non veniva identificato come soggetto nel titolo dei dipinti. Figure in a Landscape (Figura su un paesaggio, 1952), probabilmente il primo dipinto in cui è ritratto Lacy, era basato direttamente su uno scatto fatto in Sudafrica4. Bacon cominciò a dipingere autoritratti nel 1956 e sebbene abbia detto che a volte usava uno specchio per questo scopo, probabilmente si basava soprattutto su fotografie.
Mentre l’opera di Bacon si ampliava, lo stimolo per i suoi dipinti, almeno formalmente, tendeva a provenire tanto dalle sue stesse opere quanto da impulsi esterni; negli anni Cinquanta furono spesso concepiti come serie, o lo diventarono, papi, uomo in blu, le teste di Blake, i dipinti ispirati a Van Gogh. Lungo tutta la sua vita cercò di perfezionare l’idea di un uomo rannicchiato insieme alla propria ombra, o in fusione con un altro; molto tempo dopo aver completato Study for Crouching Nude (Studio per un nudo accasciato, 1952; Detroit Institute of Arts) avrebbe annotato spunti per variazioni sul “dipinto di Detroit”. Anche se non appese mai alcuno dei suoi dipinti alle pareti delle case o degli studi che occupava, cominciò ad attaccare riproduzioni dei dipinti completati, soprattutto prese dai cataloghi delle sue mostre, accanto ai suoi diversi spazi di lavoro.
Negli anni Cinquanta Bacon fu fotografato, tra gli altri, da Bill Brandt, Larry Burrows, Cecil Beaton e Douglas Glass, e mentre la sua celebrità seguiva una traiettoria ascendente dopo la sua retrospettiva alla Tate Gallery, Bacon diventò una preda per molti eminenti fotografi e fotoreporter. Le stampe che acquistò da alcuni di questi fotografi – Jorge Lewinski, Harry Diamond e Michael Pergolani – costituirono importanti aggiunte alla sua banca di immagini. Dopo che Bacon si trasferì a Reece Mews nel 1961, il suo studio, sempre più cosparso di polvere, esercitò un’equivalente attrazione religiosa. Il catalogo della sua mostra del 1975 al Metropolitan Museum of Art, New York, non contiene fotografie dell’artista, ma c’è una raffigurazione a tutta pagina del suo studio: la polvere, il disordine e le immagini sparse che coprivano il pavimento erano diventate famose metafore per Bacon e la sua arte.
Bacon assimilò una vasta gamma di immagini fotografiche strappate da libri e riviste, ma la percezione di David Sylvester fu che anche se “usava gli scatti fuori posa di Peter Lacy, non ci arrivava ancora” – intendendo che non arrivava all’uso esteso per il quale le fotografie potevano essere impiegate5. Circa nel 1960, quando cominciò a commissionare a John Deakin alcune fotografie di amici stretti, il nuovo metodo di lavoro coincise con (o in parte provocò?) un significativo cambio nella pratica. Secondo Ronald Alley il dipinto Three Studies for Portrait of Henrietta Moraes (Tre studi per il ritratto di Henrietta Moraes, 1963), fu dipinto in parte dal vivo e in parte da fotografie di Deakins, (Rothenstein e Alley 1964, p. 155), ma Bacon disse che, quando dipingeva amici stretti, la loro presenza nello studio lo inibiva; la stessa Moraes disse di non avere mai posato per Bacon. A quel tempo, mentre i suoi grandi dipinti “a soggetto” tendevano a essere realizzati in una dimensione uniforme, di quasi due metri d’altezza, Bacon dette inizio a un formato molto più piccolo, di 35 cm di altezza, per la categoria ugualmente significativa di ritratti con testa e spalle che continuò a dipingere fino al 1990.
Le fotografie di Deakin, realizzate sotto la supervisione diretta o indiretta di Bacon, furono un elemento integrante dell’evoluzione dei ritratti di piccolo formato. Mentre le fotografie di Peter Lacy raramente erano state più grandi del formato dello scatto commerciale, Bacon riuscì a far fare a Deakin degli ingrandimenti di 30 cm dai negativi quadrati. Erano stampati su carta più pesante delle pagine che strappava da libri o riviste, ed è improbabile che sia stata una coincidenza che il coinvolgimento tattile di Bacon con le sue fonti si sia intensificato in questo momento. Strappava e attorcigliava, annotava, cancellava e consumava le stampe, trasformandole nell’equivalente di studi preliminari. Inoltre, esse erano infinitamente ripetibili, e con il gran numero di fotografie di George Dyer, ad esempio, l’adattamento delle fotografie entra per Bacon in un’altra dimensione.
L’ultima occasione in cui Bacon commissionò fotografie a John Deakin fu probabilmente intorno al 1970. Deakin morì nel maggio del 1972, ma Bacon continuò a basarsi sulle sue fotografie per i cinque o sei anni successivi, quando intraprese una serie di elegie a Dyer e un numero di autoritratti mai raggiunto prima. Nel 1979 affermò senza sincerità di aver dipinto autoritratti solo per necessità, perché non c’era nessun altro da dipingere, anche se aveva recentemente completato ritratti di Michel Leiris, John Hewett, Clive Barker e Richard Chopping, che erano tutti ancora in vita. Dal 1975 il suo soggetto più frequente fu Peter Beard, fino a quando nel 1980 John Edwards lo sostituì come fonte principale di ispirazione. Bacon incoraggiò Edwards a studiare fotografia e in società prese a riferirsi a lui come “il mio fotografo”. Nei dipinti di Bacon, l’aspetto di Edwards era basato totalmente su fotografie, alcune delle quali scattate dallo stesso Bacon, mentre alcuni degli autoritratti successivi di Bacon furono dipinti a partire da fotografie scattate da Edwards.
Nonostante la loro stretta amicizia, Bacon non dipinse mai Edwards dal vivo: in tutti i ritratti di Edwards a figura intera degli anni Ottanta la posizione del corpo era presa da fotografie esistenti di altri modelli. La ricorrente posizione a gambe incrociate, ad esempio, ricorda le fotografie scattate da John Deakin a George Dyer negli anni Sessanta, su cui Bacon innestò il ritratto della testa di Edwards; questa posizione, iniziata quasi venti anni prima, era sorta dalla combinazione di due o più fotografie di Dyer. Verso la fine della vita di Bacon, John Edwards trascorreva alcuni mesi di ogni anno in Florida e Thailandia, e durante una di queste prolungate assenze Bacon cominciò a viaggiare con un giovane banchiere spagnolo, José Capelo, che ritrasse varie volte. In questo periodo Bacon era in amicizia anche con un giovane artista, Anthony Zych, che compare in due dipinti di grande formato; per ottenere la somiglianza, Bacon usò fotografie scattate da un amico di Zych, John Ginone. Nei dipinti completati, la testa di Zych è trasposta su un corpo completamente scollegato, situato anch’esso nel contesto dell’invenzione di Bacon; sia la sbarra, sia il braccio piegato in Male Nude before Mirror (Nudo maschile davanti allo specchio, 1990), ad esempio, furono tratte da una fotografia di Bacon a Chantilly, scattata nel 1978 dall’amico di Bacon Eddy Batache. Che cosa possiamo dunque ricavare da questa breve rassegna sull’uso delle fotografie da parte di Bacon, dato che sono poi dimenticate negli stessi dipinti? È evidente che, in definitiva, i particolari della sua assimilazione delle immagini sono secondari: l’impatto dei suoi dipinti non dipende dalle fonti di cui si appropriò e che trasformò, ma dalle sensazioni vivide che trasmise nella sua energica pittura.
Note
1 Ad esempio Martin Hammer, sebbene piuttosto sprezzante nei confronti di questa linea di ricerca, tuttavia mette in primo piano un singolo accostamento letterale di “fonte” e dipinto.
2 Ernst van Alphen, nel suo volume Francis Bacon and the Loss of Self, operò il primo tentativo articolato di decostruzione dell’iconografia opaca di Bacon.
3 La principale eccezione fu nel saggio Web of Images che Dawn Ades pubblicò in occasione del catalogo della mostra di Bacon nel 1985 alla Tate Gallery di Londra.
4 Lo scatto è identificato con Peter Lacy nel saggio di Marcel Finke, Francis Bacon’s alter ego? Critical Remarks on the Barry Joule collection (2009).
5 David Sylvester intervistato dall’autore, ottobre 1999.
Bibliografia
Dawn Ades, Web of Images, in Francis Bacon, catalogo della mostra, Tate Gallery, Londra 1985, pp. 8-23.
Gilles Deleuze, The Logic of Sensation, Continuum, Londra 2003, p. 90.
John Rothenstein e Ronald Alley, Francis Bacon, Catalogue raisonnée and documentation, Thames & Hudson, Londra e New York 1964, p. 36, 155.
Marcel Finke, Francis Bacon’s alter ego? Critical Remarks on the Barry Joule collection, in Francis Bacon: New Studies, a cura di Martin Harrison, Steidl, Göttingen 2009, pp. 125-141.
Martin Hammer, Francis Bacon: Painting after Photography, “Art History”, vol. 35, n. 2, aprile 2012, pp. 354-71
Norbert Lynton, London Letter, “Art International”, 25 ottobre 1962, p. 68.
Robert Melville, Francis Bacon, “Horizon”, dicembre 1949-gennaio 1950, pp. 419-23.
John Russell, Francis Bacon, Thames and Hudson, Londra e New York 1971.
David Sylvester, Interviews with Francis Bacon, Thames and Hudson, Londra 1995, p.71, 114.
Ernst van Alphen, Francis Bacon and the Loss of Self, Harvard University Press, Cambridge (MA) 1992.
Martin Harrison è un curatore, critico e storico dell’arte noto internazionalmente per le sue ricerche nel campo della pittura e della fotografia del XIX e del XX secolo, in particolare del secondo dopoguerra. Ha organizzato mostre in Gran Bretagna (Victoria & Albert Museum e National Portrait Gallery, Londra), Italia, Stati Uniti e Messico. Grande studioso di Francis Bacon, ha pubblicato numerosi articoli e libri a lui dedicati. La sua prima pubblicazione dedicata all’artista è Points of Reference (Faggionato Fine Art, Londra, 1999). Tra le più recenti ricordiamo In Camera: Francis Bacon (Thames & Hudson, Londra, 2006), in cui analizza in particolare il rapporto dell’artista con la fotografia, e il suo saggio per il catalogo della grande mostra monografica organizzata in occasione del centenario dalla nascita di Bacon presso la Tate Britain, il Museo del Prado di Madrid e il Metropolitan Museum of Art di New York nel 2008-2009. È stato co-curatore di una retrospettiva dedicata a Bacon presso la Kunstsammlung Nordhein-Wesftfalen di Düsseldorf nel 2006 e, insieme a Barbara Dawson, della mostra “Francis Bacon. A Terrible Beauty” presso la Dublin City Gallery The Hugh Lane nel 2009. È attualmente impegnato nella pubblicazione del catalogo ragionato di Francis Bacon.
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