Thomas Doyle

Le opere di Thomas Doyle sono micromondi la cui apparenza serena e controllata rivela a un sguardo più attento e ravvicinato realtà drammatiche, che divengono espressione della precarietà della condizione umana, utilizzando simboli della vita borghese come la casa, il giardino e la famiglia.



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Tema ricorrente nelle opere di Thomas Doyle è la classica villetta monofamiliare, punto di riferimento nell’immaginario americano della casa. L’artista crea diorami di piccole dimensioni, racchiusi dentro cupole di vetro, che sembrano offrire una rappresentazione della vita quotidiana di famiglie comuni immerse in un’atmosfera oscura e inquietante, dovuta al contrasto tra una visione idilliaca della vita di periferia e l’attrazione per un immaginario horror e fantastico.
L’artista mette in scena situazioni apocalittiche che sembrano il risultato di eventi naturali o sovrannaturali: case in bilico su un dirupo, spazzate via da un tornado o distrutte da misteriose esplosioni nelle quali tutti gli oggetti quotidiani sono scagliati lontano ma sempre seguendo un certo senso di ordine. Pur dotati di un’estetica fantastica, i diorami di Doyle esplicitano paure e timori totalmente reali: la paura del vuoto, il timore per la perdita di tutto ciò che si è costruito, la costante incombenza della catastrofe.
Oltre al tema della casa, Doyle gioca anche con il tema del contesto. La suggestione esercitata dall’idea di creare mondi in miniatura, chiusi e controllabili ha da sempre contraddistinto molte culture e civiltà. Dalle uova Fabergé agli acquari o i terrari, fino alle piccole sfere in vetro con la neve, uno degli elementi di maggior fascino offerti da questi oggetti è la possibilità di una visione d’insieme omnicomprensiva che mette l’osservatore nella posizione di una “divinità” su questi microcosmi.
Grazie all’atmosfera inquietante e contraddittoria dei suoi diorami, Doyle ci mostra quanto siano piccole e fragili le nostre vite, per quanto incantevoli possono sembrare all’apparenza. Le sue opere non solo possono essere lette come un sarcastico commento sulla recente crisi del mercato immobiliare americano, ma divengono un’allegoria esistenziale, una riflessione sulla finta sicurezza e sulla solo presunta controllabilità di questi mondi e, per analogia, della realtà stessa. Le figure umane isolate rappresentate all’interno esprimono un senso di staticità e di congelamento del tempo, creando spazi da cui non sembra esserci via di scampo. Il fruitore rimane all’esterno, osservando realtà che è in grado di “controllare” solo con lo sguardo senza però poterne capire fino in fondo i misteri e le tragedie che si nascondono.

Thomas Doyle (1976, Grand Haven, MI, USA; vive e lavora a New York) lavora prevalentemente come scultore, ricostruendo ambientazioni sotto-vetro, in piccola scala, con un’attenzione meticolosa per i particolari, tentando di catturare momenti conturbanti della vita umana. Ha studiato arte presso la Humboldt State University e ha ricevuto numerosi riconoscimenti come il West Prize Aquisition Finalist, West Colection nel 2008 e il Mac Dowell Colony Fellowship, nel 2009. Tra le sue recenti esposizioni ricordiamo: (2010) “There’s no place like here”, Tower Fine Arts Gallery, Brockport, NY; “Tragic Sense of Life”, Fine Arts Gallery, Westchester Community College, Valhalla, NY; “The Aldrich Contemporary Art Museum’s Radius exhibition”, Ridgefield, CT; “Synesthesia 2010”, Electric Pear Productions/The Wild Project, New York; “Collateral Damage”, LeBasse Projects, Culver City, CA; (2011) “Suggestivism”, Grand Central Art Center, Santa Ana, CA; “Mini-Size Me”, Bakerfield Museum of Art, Bakerfield, CA; “Otherworldly: Optical Selusion and Small Realites” Museum of Arts and Design, New York.

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